San Bernardino

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(a cura di Mario Ogliaro)

Facciata di San Bernardino

Essa sorse con ogni probabilità sul finire del secolo XIII, in un periodo denso di tensioni politiche che interessarono tutto il vercellese e, conseguentemente, anche il borgo di Crescentino, dov’era ancora in corso il processo d’urbanizzazione e di riorganizzazione territoriale. L’eco della devozione espressa dal movimento penitenziale dei “Flagellanti” o “Battuti”, che aveva attraversato molte città italiane, trovò nel nostro paese adesioni spontanee, stimolate dal rigore ascetico di questi itineranti, che percorrevano processionalmente le varie borgate, percuotendosi il dorso nudo per mortificare la carne ed implorare la misericordia divina. Legata a tale primitiva prassi cultuale, la plurisecolare attività religiosa espressa da questa confraternita, per la sua complessità e per la ricchezza delle sue manifestazioni, può essere additata come esempio nel cammino di fede, non solo della comunità rionale, che essa simbolicamente rappresentava, ma anche di quello della chiesa parrocchiale, attraverso tutta una serie d’iniziative sviluppate nell’ambito della carità cristiana. Dedicata originariamente a Santo Stefano, essa era comunque già attiva nel 1476, quando fu aggregata alla confraternita del SS. Nome di Gesù in Roma, allo scopo di ottenere le stesse indulgenze per i confratelli di Crescentino. Intorno al 1460 mutò la sua denominazione in San Bernardino da Siena, in seguito alla vigorosa opera di predicazione di questo santo, iniziata nel 1417 in diverse parti d’Italia, fra cui Vercelli. Nella seconda metà del Cinquecento, fu deliberata la demolizione della vecchia struttura ed acquistato un sedime nelle vicinanze per l’edificazione di una nuova chiesa. In attesa di dare esecuzione al progetto, i confratelli ottennero da papa Gregorio XIII la bolla di costituzione della pia corporazione. L’avvenimento è ricordato da un dipinto di poco posteriore, conservato dietro l’altare, raffigurante San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, mentre si appresta a consegnare il documento alla delegazione crescentinese. Nel suo complesso, la confraternita doveva risultare piuttosto sobria, se, appena nel 1610, vennero predisposte diverse iniziative per la costruzione di un nuovo campanile e per la realizzazione della facciata, in armonia col resto dell’edificio. La caratteristica innovativa costituiva un elemento esteriore più consono, ma soprattutto si allineava alle altre strutture religiose del borgo.

La crescente capacità d’attrazione dei priori che si susseguirono nel tempo, si esplicò in un impegno nelle attività di mutua assistenza, nonché di sussidio alla parrocchia per l’ insegnamento della dottrina cristiana, mediante una “schola”, inserita nel programma amministrativo. Altrettanto importanti furono le istanze penitenziali dei fedeli, che impressero una connotazione particolare con lasciti destinati ad opere di carità, tanto che nel 1667 i confratelli decisero l’innalzamento del soffitto per conferire una più equilibrata armonia nell’interno e, nello stesso tempo, per consentire la realizzazione di un altare ligneo dorato. L’esecuzione dei lavori fu affidata ai mastri da muro Diego Zanasso e ai fratelli Carlo e Francesco Battaglia. L’intervento consisteva nell’aggiunta di un’arcata nella parte terminale, del completo rifacimento del tetto e della formazione di una nuova mensa su cui sovrapporre l’altare eseguito dallo scultore di Casa Savoia Francesco Borrello, originario di Chieri, ma attivo a Torino nella seconda metà del Seicento. Il vigore stilistico di quest’opera, di alto livello artistico, offre un notevole esempio di fattura barocca piemontese, arricchito da una pala raffigurante la Circoncisione, opera del pittore Bartolomeo Caravoglia da Marentino, eseguita nel 1667. Il Borrello pervenne alla realizzazione definitiva mediante uno schizzo preliminare ancora esistente dietro l’altare. L’indoratura fu eseguita da Antonio Magliano di Torino. Nel 1775 il capomastro Crescentino Serra lo spostò indietro l’altare di quattro metri e mezzo, per dare maggior spazio alla chiesa e per collocare la nuova balaustra in marmo scolpita dai marmisti milanesi Stefano Albuzio e Carlo Marchese. L’operazione di spostamento, eseguita con grande maestria e tecnica, consentì l’allungamento dell’edificio con l’aggiunta della parte absidale, comunemente detta “coro”, su progetto del crescentinese Giovanni Domenico Chiò, nonché la realizzazione di due cappelle laterali su disegno dell’architetto torinese Carlo Bianchi. L’attuale facciata realizzata nel 1722 in sostituzione della precedente, rappresenta un moderato barocco, influenzato dalle forme utilizzate in provincia dai grandi architetti del tempo. Il suo valore plastico si fonde in un tono armonioso che domina l’atmosfera.

Calendario 2011 032

All’ingresso a destra, il quadro della Madonna con Santa Apollonia, Santo Stefano, San Francesco di Sales e San Vincenzo de’ Paoli, eseguito nel 1771, in adempimento al legato del sacerdote Carlo Francesco Damista, dal pittore Carlo Giovanni Nigretti, nato nel 1724 a Crescentino, da genitori originari dalla Valle Sesia. Di fronte, il quadro della Madonna con Sant’Anna e più in basso San Bernardino e San Carlo Borromeo, eseguito nel 1771 dal pittore Antonio Podestà di Roma a spese del sacerdote Carlo Giuseppe Curti. Più avanti a destra, nella ex cappella di San Bernardino, si trova l’altare ligneo dorato, trasferito dalla chiesa sconsacrata della Resurrezione e probabilmente già appartenente alla chiesa parrocchiale. Nel complesso, di squisita fattura barocca, è inserita a destra una piccola statua di legno raffigurante San Pietro che regge in mano una chiave e la Bibbia. A sinistra San Crescentino con in mano una palma e nell’altra una mazza. Al centro Santo Stefano, pure in legno, sovrastato da un altorilievo policromo a forma di lunetta, composto di un coro di dodici angeli musicanti. Sulle volute laterali, da una parte San Rocco e dall’altra San Sebastiano. L’altare è sormontato da uno stemma di forma oblunga con campo argentato, sorretto da una corona comitale, che originariamente conteneva una scritta o delle insegne araldiche di qualche famiglia nobile. Sotto la mensa, il contraltare, comunemente detto “cataletto”, formato da un’urna rettangolare, protetta da vetro, contenente la statua in gesso del Cristo deposto, opera eseguita nel 1832 dallo scultore Bosco di Torino. Tale statua, detta volgarmente “machina”, veniva portata in processione il Venerdì Santo. Nella stessa cappella, in alto a sinistra, una nicchia murale contenente la statua in gesso di San Luigi Gonzaga. A sinistra, nell’ex cappella di Santo Stefano è stata realizzata la grotta di Lourdes, il cui richiamo devozionale è indiscutibile, ma che dal punto di vista artistico appare un elemento certamente non consono all’armonia artistica dell’interno della chiesa.